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4 – Diritti dei Contribuenti

Tutte-le-tasse-del-2013-anno-da-incubo-per-i-contribuenti_h_partbLe Tasse servono per garantire il funzionamento dei servizi pubblici e la giustizia sociale.

Le tasse finanziano servizi essenziali per l’esistenza di uno Stato civile: sicurezza e ordine pubblico, economia e finanze, giustizia, difesa, esteri. Sono servizi che servono per mantenere il benessere e la crescita della popolazione: salute, previdenza e assistenza. Servizi che garantiscono lo sviluppo culturale ed economico di un paese: istruzione, patrimonio culturale, trasporti e viabilità, infrastrutture, assetto del territorio, etc.

Tutti, in virtù dei criteri di collegamento con il territorio nazionale, hanno il dovere costituzionale (artt. 3 e 53 Cost.) di pagare le Tasse e di pagarle per intero senza cadere in comportamenti opportunistici (l’evasione fiscale è il comportamento di chi prova a farsi pagare “un pasto gratis” da altri).

Il rapporto tra Fisco e Contribuenti è regolato dalla Legge n. 212 del 2000 meglio nota come Statuto dei diritti del Contribuente.

Lo Statuto dei diritti del Contribuente è una legge di rilevanza costituzionale che fissa le regole del gioco nel rapporto tra il Fisco e il Contribuente.

In base allo Statuto, i rapporti tra il Fisco ed Contribuenti devono essere ispirati a correttezza e buona fede reciproci. Inoltre i Contribuenti hanno diritto alla chiarezza, trasparenza e semplicità delle norme e del sistema tributario nel suo insieme.

I DIRITTI DEI CONTRIBUENTI 

IL DIRITTO DI SAPERE CON CHI SI PARLA

Uno degli aspetti che più rende difficile il rapporto con la pubblica amministrazione è quello di non sapere chi si ha di fronte: mentre il cittadino è ben individuato, con nome cognome e indirizzo, di fronte ha un tutto indistinto, una specie di castello dove è difficile capire con chi si sta parlando.

L’impiegato con cui si sta parlando deve portare bene in vista un tesserino con nome e cognome, ed anche quando si chiedono informazioni al telefono chi risponde deve qualificarsi.

Altrettanto importante è il diritto di sapere chi è il responsabile della “pratica”: la legge prevede che ogni pubblica amministrazione determini chi è il responsabile del procedimento amministrativo e che questo sia comunicato all’interessato negli atti che gli vengono inviati.


IL DIRITTO DI SAPERE COSA IL FISCO VUOLE DA NOI

Sembra incredibile dover affermarlo, ma il contribuente ha diritto a sapere cosa il fisco vuole da lui.

Se arriva una cartella di pagamento o un avviso dell’esattoria, questo deve indicare chiaramente qual è il tributo che viene richiesto.

Ancora troppo spesso vengono notificati avvisi che contengono soltanto un riferimento ad un numero di ruolo, senza nessuna specificazione.

Eppure la legge prevede che negli atti sia indicato chiaramente l’oggetto della richiesta, nonché l’organo competente a riesaminare l’atto.

IL DIRITTO DI SAPERE PERCHE’

Ogni atto che viene notificato deve contenere non solo l’indicazione di qual è il tributo che viene richiesto, ma anche l’indicazione del perché viene richiesto.

Se arriva una richiesta dell’esattoria per una multa non pagata, non è sufficiente l’indicazione del numero di verbale, ma deve essere allegato il verbale stesso, perché il contribuente sia messo in grado di verificare se effettivamente deve versare o no il tributo.

La legge stabilisce che se l’obbligo di motivazione non viene rispettato l’atto è nullo.

IL DIRITTO DI SAPERE QUANDO TERMINA IL PROCEDIMENTO

La legge 7 agosto 1990, n. 241 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi” all’articolo 2 ha stabilito che: “Le pubbliche amministrazioni determinano per ciascun tipo di procedimento, in quanto non sia già direttamente disposto per legge o per regolamento, il termine entro cui esso deve concludersi… Qualora le pubbliche amministrazioni non provvedano ai sensi del comma precedente, il termine è di trenta giorni”.

IL DIRITTO DI SAPERE DOVE ANDARE

Ogni atto che viene notificato deve indicare dove ci si può rivolgere per chiedere chiarimenti e soprattutto per poter contestare quanto non si ritiene corretto.

Se si tratta di un atto contro il quale si può ricorrere, deve essere indicato a chi va presentato il ricorso, nonché le modalità e il termine di scadenza per il ricorso.

IL DIRITTO DI NON PERDERE TEMPO

La legge vieta alle pubbliche amministrazioni di chiedere al cittadino dati o documenti di cui la stessa o un’altra pubblica amministrazione siano già in possesso.

In tutti quei casi in cui vengono richiesti documenti, dati o notizie già in possesso di una pubblica amministrazione, è sufficiente comunicare qual è la pubblica amministrazione che è già in possesso di quei dati o notizie.

Se l’esercizio di questo diritto viene impedito, si può chiedere il risarcimento dei danni, compreso il corrispettivo del tempo di lavoro.

C’è da dire comunque che è nell’interesse del cittadino fornire alla pubblica amministrazione tutti gli elementi utili per facilitare la ricerca dei dati o dei documenti che riguardano la sua pratica.


IL DIRITTO DI CAPIRE IL SENSO DI NORME OSCURE

Tra gli altri diritti, oltre a quello all’informazione, data la complessità e spesso farraginosità della normativa tributaria, al contribuente è stato riconosciuto dalla legge il cosiddetto diritto di interpello, vale a dire il diritto di chiedere all’amministrazione qual’è la corretta interpretazione di una norma sulla quale ci sono “obiettive condizioni di incertezza”.

L’amministrazione deve rispondere entro i 120 giorni al quesito, trascorsi i quali senza una risposta, il comportamento prospettato dal contribuente non può più essere sanzionato.

Si tratta ovviamente di determinati casi ai quali l’amministrazione non abbia già dato chiarimenti con i vari strumenti a sua disposizione, circolari, risoluzioni, comunicati e quant’altro.

IL DIRITTO DI CHIEDERE IL RISARCIMENTO PER GLI ERRORI DEL FISCO

In base ad una recente sentenza della Corte di Cassazione, per chiedere il risarcimento dei danni subiti per colpa della pubblica amministrazione non è più necessario andare prima al Tribunale Amministrativo Regionale, ma è possibile rivolgersi direttamente al giudice ordinario.

Con questa sentenza, che in sintesi rende applicabile anche alla pubblica amministrazione il principio sancito dall’articolo 2043 del codice civile, vale a dire il diritto al risarcimento per il “danno ingiusto”, la Corte di Cassazione ha aperto la strada al superamento della “sostanziale immunità della pubblica amministrazione per l’esercizio illegittimo della funzione pubblica”.

Perciò, ogni volta che si subisce una violazione dei propri diritti, si può andare dal giudice di pace per chiedere il risarcimento dei danni, morali e materiali, fino a quando le pubbliche amministrazioni non si decideranno ad attuare le carte dei servizi, che già oggi prevedono un risarcimento forfetario dei danni ogni qual volta l’amministrazione riconosca di aver sbagliato.

IL DIRITTO DI OTTENERE GIUSTIZIA IN TEMPI RAGIONEVOLI

Il diritto alla ragionevole durata del processo è sancito dalla “Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, firmata a Roma nel 1950 e ratificata in

Italia dalla legge 4 agosto 1955, n. 848.

Fino a poco tempo fa, per chiederne il rispetto occorreva rivolgersi alla Corte Europea di Strasburgo.

Dal maggio 2001, quando il processo (in questo caso tributario) si protrae oltre un termine definito “ragionevole” (in genere due anni in primo grado) si può richiedere il risarcimento dei danni, patrimoniali e non, alla Corte di Appello competente a giudicare sui magistrati nel cui ambito si è svolto o deve ancora concludersi il “processo lumaca”.

La richiesta va presentata durante il procedimento o entro sei mesi dalla sua conclusione e la Corte di Appello deve decidere entro 4 mesi dalla richiesta.

CHE COSA PUO’ FARE IL CONTRIBUENTE PER OTTENERE IL RISPETTO DEI SUOI DIRITTI


IL GARANTE DEL CONTRIBUENTE

Al Garante del Contribuente si può rivolgere per iscritto (in carta libera) qualsiasi contribuente, inviando un’istanza contenente i propri dati anagrafici e il codice fiscale e segnalando eventuali disfunzioni, irregolarità, scorrettezze, prassi amministrative anomale o irragionevoli o qualsiasi altro comportamento suscettibile di pregiudicare il rapporto di fiducia tra i cittadini e l’Amministrazione finanziaria.

Il Garante, anche sulla base di segnalazioni inoltrate per iscritto dal contribuente o da qualsiasi altro soggetto interessato:

• presenta richieste di documenti e chiarimenti agli uffici, i quali devono rispondere entro trenta giorni;

• rivolge raccomandazioni ai dirigenti degli uffici ai fini della tutela del contribuente e della migliore organizzazione dei servizi e li richiama al rispetto delle norme dello Statuto del contribuente o dei termini relativi ai rimborsi d’imposta;

• accede agli uffici stessi per controllare la loro agibilità al pubblico nonché la funzionalità dei servizi di informazione e assistenza;

• attiva l’autotutela;

• segnala norme o comportamenti suscettibili di produrre pregiudizio per i contribuenti;

• presenta una relazione semestrale al Ministro dell’Economia e delle Finanze.

Il Garante, al termine dell’attività svolta a seguito della segnalazione, ne comunica l’esito alla Direzione regionale o al comando di zona della Guardia di finanza competente nonché agli organi di controllo, mettendone a conoscenza anche l’autore della segnalazione.

Gli indirizzi e i moduli per le segnalazioni al Garante dei Contribuenti sono allegati.

L’AUTOTUTELA

Quando un avviso o una cartella di pagamento è chiaramente illegittima, si può chiedere l’annullamento “in autotutela”.

Beninteso, autotutela non significa che ci si difende da sé, come il termine sembrerebbe voler dire, ma, in tipico linguaggio burocratico, con buona pace della semplificazione, con autotutela si intende “il potere di annullare l’atto illegittimo” da parte dello stesso ufficio che ha emanato l’atto.

Sembrerebbe solo una questione di forma, ma in realtà è anche di sostanza: perché dietro al richiamo al potere di autotutela c’è tutta la rappresentazione della discrezionalità dell’amministrazione, dello stare su un altro piano rispetto al cittadino, che l’autotutela può solo invocare, e della quale l’amministrazione può decidere di avvalersi o no. E non sono rari i casi in cui l’amministrazione decide di non avvalersene oppure non dà una risposta al contribuente nei termini e così consiglia al malcapitato di presentare anche ricorso in commissione tributaria.

In caso di diniego o mancata risposta ad una richiesta di annullamento in autotutela di una cartella di pagamento, bisogna fare attenzione a non far scadere i 60 giorni per presentare ricorso alla commissione tributaria, altrimenti il “ruolo” diventa definitivo.

L’annullamento dell’atto in autotutela va richiesto all’ufficio che ha emanato l’atto.

Nel caso l’autotutela sia richiesta ad un Ufficio delle Entrate e questo non provveda a dar seguito all’annullamento senza giustificato motivo, può provvedervi in via sostitutiva la Direzione regionale delle Entrate da cui l’ufficio dipende.

Una volta ottenuto l’annullamento dell’atto, si può richiedere il risarcimento dei danni al giudice di pace .

Del resto, se l’ufficio riconosce di aver sbagliato, dovrebbe essere pacifico ricevere, assieme alle scuse, una qualsiasi forma di risarcimento del disturbo, e le leggi già dispongono che la carta dei servizi – mai emanata – preveda un risarcimento forfetario in caso di errore dell’amministrazione.

LA GIUSTIZIA TRIBUTARIA

Se l’ufficio che ha emanato l’atto non provvede al suo annullamento in sede di autotutela, o non lo ha fatto nei termini per la presentazione del ricorso, il contribuente che ritiene l’atto illegittimo deve presentare ricorso alla commissione tributaria provinciale.

Per le controversie di valore fino a € 2.582,28, si può presentare ricorso da soli senza l’assistenza di un avvocato o commercialista.

Il ricorso deve essere redatto in carta da bollo e contenere una serie di indicazioni: la commissione tributaria alla quale ci si rivolge; nome, cognome, residenza e codice fiscale del ricorrente; l’ufficio nei cui confronti è proposto il ricorso; gli estremi dell’atto impugnato; l’oggetto della richiesta (es.: annullamento dell’atto); i motivi di fatto e di diritto a fondamento della richiesta; la sottoscrizione del ricorrente.

Il ricorso va notificato a mezzo raccomandata senza busta, oppure tramite ufficiale giudiziario, oppure mediante consegna diretta, all’ufficio che ha emesso l’atto contro il quale si ricorre, entro sessanta giorni dal ricevimento dell’atto che si vuole impugnare.

Nei trenta giorni successivi alla presentazione del ricorso bisogna costituirsi in giudizio, depositando presso la commissione tributaria provinciale l’originale del ricorso notificato tramite ufficiale giudiziario oppure copia del ricorso notificato per raccomandata, la copia dell’atto impugnato, nonché la documentazione elencata nel ricorso.

IL GIUDICE DI PACE

Il giudice di pace è lo strumento per la difesa dei diritti più vicino al cittadino e la più importante innovazione nel sistema giudiziario dal 1995 a oggi.

Sono di competenza del giudice di pace le cause relative a danni di valore non superiore a 5.000,00 euro.

Dal giudice di pace si può andare anche da soli, senza l’assistenza di un avvocato, per cause fino a € 1.100. Fino a questo importo le procedure sono estremamente semplificate e le cause sono praticamente esenti da imposte.

Per cause civili di valore fino 1.100,00 euro, se le parti interessate ne fanno richiesta, il giudice di pace decide secondo equità.

Il giudice di pace è diventato ancor più uno strumento di difesa dei diritti del cittadino da quando ha cominciato ad affermare il diritto al risarcimento dei danni causati dalla burocrazia.

Così, a partire dalla nota sentenza del giudice di pace di Mestre, ogni volta che un contribuente ha ottenuto ragione dalla pubblica amministrazione può chiedere al giudice di pace il risarcimento del “danno ingiusto”.